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Facciamo esperienza dei progressi nell’amore del prossimo e nell’amore di Dio
La benedizione è un'invocazione della grazia e del favore su qualcuno o su qualcosa. Vuole dire un'invocazione di bene. A S. Agata sul Santerno lo abbiamo fatto in preparazione alla Pasqua. Sappiamo che è Dio che benedice, anche quando la benedizione è pronunciata dagli uomini. Le persone sono sempre strumenti nelle Sue Mani.
"Dice il Signore: Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce" (1Pt2,9).
Con la benedizione dell'acqua noi facciamo memoria di Cristo, acqua viva, e del sacramento della nostra rinascita dall'acqua e dallo Spirito Santo.
Per ricevere la benedizione, Dio ci chiede soltanto due cose: che lo amiamo e che amiamo il nostro prossimo. Più scopriamo questa verità in noi più riusciamo a fare esperienza dei progressi nell’amore del prossimo e nell’amore di Dio.
Ma bisogna essere persone sensibili, capaci di misericordia per essere veramente fratelli e non estranei. "Nelle profondità dell’amore umano, vi è una interiorità, dove s’incontra l’uomo abbandonato come tale, dove rieccheggiano, per cosi dire, le grida di aiuto del sofferente..."
(L. Boros). La sofferenza dei nostri vicini, dei nostri fratelli che tante volte conosciamo. Portare con sé la capacità di essere colpito dalla sofferenza del vicino è avere coscienza di ciò che l’altro significa per Dio, per la comunità e per me, e perché non sforzarsi di capire le diversi situazione di indifferenza, di miseria, di delusione, di abbandono soprattutto quando si è anziani e malati. Ma anche ciò che manca nella società e nel mondo di oggi. Nel mio percorso andando a trovare le famiglie di questa comunità parrocchiale di S. Agata, ho provato la gioia dell’accoglienza di tante persone soprattutto de coppie giovani, delle famiglie credenti e perseveranti nella fede, ma allo stesso tempo ho trovato persone molto sofferenti per causa della malattia, della mancanza di lavoro, della solitudine, dell’ abbandono, qualcuno anche senza fiducia e senza un senso per continuare a vivere. In alcune case al mio arrivo per la preghiera di benedizione c’è chi ha risposto: “Non ci serve!”. Mi ha fatto tanto male al cuore. Non per il rifiuto della mia presenza in casa, ma per il rischio che pensino veramente che Dio non serva alla nostra vita e per la nostra gioia piena. Penso che tanti battezzati abbiano bisogno della nostra vicinanza con la testimonianza e l’affetto di veri fratelli per sentirsi in famiglia e capire il senso di quella Luce: Cristo e di quella Fonte di Grazia Santificante alla quale anche loro appartengono. Abbiamo bisogno di migliorare la nostra comunicazione per arricchire la nostra fraternità, per acquistare la conoscenza con gli altri e non rendendo nessuno estraneo né anonimo nella nostra bella Parrocchia. Chi accoglie e ama il prossimo compie il suo dovere di amore verso Dio, perché Dio ritiene questo dono fatto a lui: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me" (Mt 25,40).
In questo nuovo tempo di grazia cerchiamo di capire meglio il significato della benedizione e della nostra missione come cristiani. Dobbiamo sempre ricordarci che la benedizione è anche il nostro ringraziamento a Dio che è datore di ogni bene e perciò si tratta di amare e avvertire il nostro senso di appartenenza e riconoscimento come famiglia, anche se siamo di diversi popoli, razze e nazioni. Dobbiamo volerci bene e voler bene ad ogni persona della nostra comunità, della nostra bella città, della nostra bella Parrocchia. Vicinanza, prossimità e fraternità sono sentimenti di una comunità dove si crea lo spazio privilegiato dell’amore reciproco secondo il modello del Vangelo.

Ave Maria!

Suor Maria Esperanza Marquez, fmda