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Incontro con la comunità religiosa delle Figlie della Madonna del Divino Amore
A 50 anni dalla morte del servo di Dio Don Umberto TERENZI
MEDITAZIONE DEL CARDINALE VICARIO ANGELO DE DONATIS Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunciato la parola di Dio (Eb 13,7a). Così l’autore della lettera agli Ebrei invita i suoi ascoltatori a fare memoria dei loro padri nella fede: è proprio ciò che facciamo oggi, a cinquant’anni dalla morte di don Umberto, al quale hanno fatto riferimento tanti di noi, sia sacerdoti che religiose, e anche tanti laici. Chi ebbe la fortuna di incontrarlo già era cristiano, già conosceva il Vangelo. Perciò non pensiamo oggi a don Umberto come a un “capo che ha annunciato la Parola di Dio” a chi la ignorava, ma come a un testimone che ci ha fatto toccare con mano com’è la Parola di Dio: viva, efficace e tagliente, proprio come dice la lettera agli Ebrei; guardiamo oggi a lui come a un apostolo che ci ha trasmesso la “Parola vivente” che è Cristo, ci ha consegnato un patrimonio di vita da custodire e far crescere, o meglio da custodire facendolo crescere. Charles Péguy nel mistero della seconda virtù fa dire ad una nonna che parla alla sua nipotina: “Bambina mia, Gesù non ci ha dato la sua Parola per metterla in piccole scatole da chiudere e nascondere gelosamente”. È vero: il Signore ci ha dato la sua Parola viva per aprirla e farla vivere ancora. Per questo il nostro don Umberto ci ha annunciato che la Parola è Cristo risorto, il Vivente: e l’unico modo per ricevere la Parola vivente è continuare a farla vivere, in noi e negli altri. Non solo: ce l’ha donata per la via maestra di ogni Incarnazione, che è la Vergine Maria. Non basta ancora; ci ha fatto questo dono attingendolo dal Dono per eccellenza: dal Divino Amore, dallo Spirito Santo. Per questo è necessario mettere tutto il nostro impegno nel trovare il modo per accogliere degnamente questo tesoro inestimabile. Continua la lettera agli Ebrei: Considerando attentamente l’esito finale della loro vita, imitatene la fede (Eb13,7b). Cosa va imitato di don Umberto, nostro padre nella fede? Certo è bello ricordarne il carattere, le particolarità nel parlare, nel vestire, nel rapportarsi agli altri, le cose che diceva, i gusti, persino quei difetti che oggi ce lo rendono ancora più caro. Ma la Parola di Dio dà due suggerimenti precisi: considerare l’esito della vita ed imitare la fede.
Qual è l’esito di una vita? Non parliamo qui del momento della morte, dell’exitus, sebbene anche da esso si possano ricavare spunti di meditazione e di preghiera: pensiamo piuttosto al risultato finale di una vita, o più esattamente al frutto spirituale di una vita vissuta in nome di Cristo. Al di là delle vicende del suo percorso individuale di battezzato, di sacerdote e fondatore, quale frutto spirituale don Umberto continua a donarci perché possiamo coglierlo, gustarlo e farne dono ai nostri fratelli e sorelle? Da seminarista il giovane Umberto conosce Maria come tutti noi l’abbiamo conosciuta: sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio! La Vergine santa è per lui il sorriso che risplende nel cammino della formazione severa e senza sconti di un secolo fa; è la fiducia che risolleva dai momenti di abbattimento; è quel segno di consolazione e di sicura speranza quando l’orizzonte si rannuvola in modo preoccupante. È la devozione tenera e profonda che tutti noi riconosciamo indispensabile nelle durezze della vita e che vediamo tutti i giorni esprimersi in questo luogo santo, nella fede dei piccoli e dei semplici che gridano ancor oggi: Grazia, Madonna! Ma don Umberto non è solo questo. C’è nella sua vita una seconda chiamata che scocca a seguito del famoso furto sacrilego che nel 1930 dà un colpo durissimo al piccolo Santuario già fatiscente e quasi dimenticato: è proprio allora che sente nel cuore come un grido proveniente dalla Madre di Dio, una nuova chiamata a farle compagnia, a portarle tanti figli liberati dal peccato e rinnovati dalla grazia. Ecco la sua seconda vocazione: dal rifugiarsi in Maria all’offrirle rifugio; dal prendere Maria con sé al perdere sé per lei; dall’andare a trovarla all’andare a stare da lei per non lasciarla più sola, per proteggerla con una nuova casa, non più soltanto come figlio – sull’esempio di san Giovanni - ma anche come Sposo. Ed è proprio “da quell’ora” che “il discepolo la prese con sé” (Gv19). Questo ci dice la minuscola stanza che scelse per sé, la piccola finestra aperta per inginocchiarsi, pregare, scrivere, piangere, addormentarsi sempre davanti al Tabernacolo e sempre sotto gli occhi di Maria. Ci avviciniamo così al frutto spirituale più duraturo di don Umberto: questa vicinanza filiale e sponsale allo stesso tempo gli ha dato un’impronta mariana unica ed indelebile. Come la pelle di Mosè divenuta raggiante dopo il colloquio con Dio, come gli Apostoli investiti dalla luce della Trasfigurazione, da quel giorno lontano del 1930 don Umberto venne sigillato dal fuoco del Divino Amore attraverso Maria: da quel giorno in poi non ha più potuto fare a meno di vivere accanto alla Vergine come un figlio premuroso sì, ma anche come uno sposo previdente. Tutto il suo ministero è stato concepire, portare e dare alla luce una casa sempre più bella e piena di figli per la sua Sposa e Madre. Il voto d’amore che visse e formulò come Amare e far amare – conoscere e far conoscere Maria, costi quel che costi sintetizza bene tutto l’ardente proposito della sua anima cristiana e sacerdotale: una vita da vivere ed un servizio da svolgere per sempre, per tutti, fino agli estremi confini della terra. Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la Parola di Dio: nel caso di don Umberto si potrebbe dire i quali, a somiglianza della Vergine, hanno concepito, portato e dato alla luce la Parola di Dio per potervela annunciare. Questo è propriamente l’esito della vita sacerdotale di don Umberto, il frutto della sua vocazione. Dopo aver quindi considerato attentamente l’esito finale della sua vita ora dobbiamo imitarne la fede. Ma cosa vuol dire imitare la fede? C’è una imitazione che è ripetizione nel tempo: è il principio su cui si basa la preghiera litanica, in particolare il Rosario. Da secoli le parole dell’Ave Maria sono come le pietre levigate e smussate delle strade romane, consumate da milioni, da miliardi di passi, di sospiri, di sorrisi e di lacrime. La fede del Popolo di Dio è un immenso canto fatto della stessa melodia ripetuta in tutte le lingue e in tutti i luoghi: ancora la lettera agli Ebrei ci dice: Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura (Eb13,14). Non possiamo attaccarci a nessuna casa su questa terra: la nostra casa è il cielo, finché siamo sulla terra si deve sempre camminare lungo una via che spesso è una via crucis. Per essere certi di non sbagliare si mette i piedi sulle orme di chi ci ha preceduto e si aiuta così chi ci seguirà. Questa è la fede dei figli e dei fratelli e non deve mai mancare nella nostra vita l’umiltà degli uni e degli altri… C’è anche una imitazione che è propria degli sposi: è l’imitazione di chi ha ricevuto e gustato la bellezza della vita e desidera far nascere nuova vita dove ancora non ce n’è. Dove nessuno se l’aspetta: nel grembo di una Vergine, o in una tomba ormai chiusa… è la vita invincibile di Cristo risorto. Questa è l’imitazione della fede alla quale la lettera agli Ebrei ci invita: vivere nella fede di Cristo risorto vuol dire vedere l’invisibile e vivere in un futuro che ancora non esiste; vuol dire entrare nel mistero pasquale, in quel Venerdì Santo al quale tiene dietro inesorabile, il primo giorno dopo il Sabato, l’esplosione della Vita nuova, della Parola Vivente. Esattamente ciò che fece don Umberto quando sentì il grido di Maria e vide il suo nuovo bellissimo Santuario, quando a Castel di Leva regnava il silenzio dell’abbandono e tutt’intorno non esisteva quasi nulla. Lì diventò sposo e padre. Fu un attimo, e fu per sempre. Per noi oggi imitare la sua fede vuol dire accogliere l’invito a diventare sposi e spose, padri e madri, creatori audaci di nuova vita dove ancora la vita non c’è: non rimanere soltanto figli piccoli che ripetono il già fatto e non riescono a staccarsi dalle cose di sempre.
Proviamo insieme allora ad imitare la fede di don Umberto. Portare con Maria il Verbo in noi: il grande sogno di don Umberto fu il nuovo Santuario. Quasi tutti i rovesci e le sconfitte della sua vita si ricollegano a questa pazzia, a lungo coltivata e portata con sé: un’opera immane, iniziata più volte e mai finita. Non si può vivere senza follie, senza utopie, e la nostra deve essere legata alla Santa Vergine. Amare e far amare, conoscere e far conoscere Maria, costi quel che costi… Quanto sarebbe bello se ognuno di noi portasse dentro di sé una “follia” da realizzare per la Vergine Santa e accarezzasse questa idea portandola con sé e pensando come realizzarla costi quel che costi! Avere un sogno espone alla derisione ed alla sconfitta: la storia di Giuseppe e dei suoi fratelli ce lo ricorda bene. Anche Gesù ha sognato di far conoscere il volto del Padre all’uomo ed ha pagato il suo sogno con la morte in croce. Quanto sarebbe bello se, con Maria e Giovanni sotto la croce anche noi pagassimo il prezzo della nostra fedeltà all’amore di Dio e del prossimo nella Chiesa! Se avessimo il nostro “finestrino” sotto la croce, dove sospirare, piangere, addormentarci… Soprattutto quando ci avvolge il silenzio di Dio, l’indifferenza del prossimo e le oscurità della Chiesa nella storia. Dare alla luce con Maria il Verbo in noi, per i fratelli. Gesù nacque al buio, “al freddo e al gelo”, e Maria lo attendeva; entrò nella Risurrezione da solo ed al buio, e Maria lo attendeva… Maria attende accanto a noi pregando che si riveli la vita nuova, che la pienezza del Divino Amore invada le nostre anime come a Pentecoste. Vegliare con Maria è già essere nella vita nuova, “anche se ciò che saremo non è stato ancora rivelato” (1 Gv3,1). Quanto fa bene incontrare anime serene e sorridenti anche se la pienezza della gioia non è ancora arrivata! Anime sulle quali la “dea lamentela” non fa presa, anime serene e rasserenanti, che vedono l’invisibile e vivono nel futuro… Come non ricordare che don Umberto era proprio così? Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunciato la parola di Dio. Considerando attentamente l’esito finale della loro vita, imitatene la fede (Eb13,7). L’augurio che ci facciamo oggi è quello di ricreare il cuore di don Umberto, non di ripeterne le frasi; di viverne l’audacia, non di rimpiangerla; di gioire del futuro, non di recriminare sul presente; e di costruire un Nuovo, bellissimo Santuario non solo a Roma: ovunque nel mondo Maria grida in tante anime abbandonate che chiedono aiuto per tornare nella casa del Divino Amore con cuore di figli nel Cristo suo Figlio. Aiutatemi ad asciugare le ferite di mio Figlio, chiese Maria a don Umberto; aiutiamola ancor oggi a far nascere in tanti cuori la grazia del Divino Amore, la grazia di Cristo risorto e vivente. |
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