Riportiamo per intero l’omelia del Vescovo:
“Siamo arrivati all’ultimo venerdì di Quaresima, fra due giorni celebreremo la giornata delle Palme e poi iniziamo la Settimana Santa, in questi ultimi giorni i Vangeli della Messa ci mostrano un crescendo di scontri verbali tra Gesù, i soliti giudei, i soliti Farisei e i soliti scribi. In questi Vangeli Gesù rivela la sua identità di Figlio di Dio e questo irrita i suoi ascoltatori e suscita reazioni sempre più intollerabili, sempre più violente e aggressive. Ma Gesù non ha paura, dice la verità ed è pronto a soffrire per la verità che annuncia. E già da questo atteggiamento di Gesù credo che possiamo imparare qualcosa, perché il coraggio di difendere, di annunciare pubblicamente la verità è sempre più raro ma è solo la verità, diceva Gesù che ci rende liberi e che ci salva. Chi non ama la verità, spesso, come ci dice anche il Vangelo di oggi, passa alla contestazione delle idee, e dalla contestazione delle idee alla contestazione delle parole, dei pronunciamenti, passa dalle dichiarazioni verbali agli scritti che negano la verità. Quanta stampa che nega la verità, e alla fine chi nega, chi vuol negare la verità arriva a comportamenti non solo verbali ma addirittura comportamenti aggressivi, comportamenti persecutori, e gli ebrei nel tempo di Gesù ascoltando la sua predicazione non hanno fatto eccezione. Prima contestano Gesù che si dichiara Figlio di Dio, poi lo calunniano che è un modo di distruggere il prossimo, che non c’era solo al tempo di Gesù, la calunnia purtroppo c’è anche oggi e fa molte vittime e per sanare la calunnia sappiamo che bisogna annunciare la verità, come quando c’è un furto, per avere il perdono di Dio, bisogna restituire quello che si è rubato. Se noi rubiamo il buon nome di una persona saremo perdonati se faremo il possibile per restituire il buon nome che noi abbiamo distrutto con la nostra calunnia. Dopo la calunnia abbiamo sentito che passano all’aggressione fisica, raccolsero pietre per lapidare Gesù. Quindi si arriva non solo alla contestazione delle idee, delle parole, ma si contesta fisicamente l’avversario e questo è il percorso normale dei violenti, dei criminali, dei dittatori, eliminare fisicamente l’avversario, ma Gesù, abbiamo sentito, non risponde con la violenza. Ricordate bene questo aspetto, Gesù non è un violento usa trattare gli avversari da persone intelligenti, capaci di andare oltre le reazioni istintive, Gesù alla violenza risponde con le parole, con il dialogo, con l’ascolto, con il rispetto. I giudei non avevano creduto alle sue parole, adesso Gesù per convincere i suoi accusatori, porta un altro argomento e dice: “Se io dico che sono il Figlio di Dio non mi credete, e allora guardate le mie opere, vi sembrano opere che può fare chiunque o le mie opere sono opere divine?”, con i miracoli, con il perdono dei peccati, con il cambiamento dei cuori, ma anche questo argomento non ha successo perché i Giudei non ascoltano, non vogliono vedere, sono chiusi alla verità. Sarà questa chiusura alla verità che farà pronunciare la sentenza di morte nei confronti di Gesù. La crocifissione del Figlio di Dio è la chiusura totale alla verità, non volere ascoltare le parole di Gesù, non voler vedere le sue opere. Con quali sentimenti Gesù salì al Calvario? La prima lettura di questa Messa ci ha raccontato l’esperienza di Geremia, anche lui questo profeta giovane era un innocente perseguitato come Gesù, perseguitato dalla sua gente dal suo popolo, ed è un perseguitato Geremia che non scappa, non si nasconde, ha una missione da compiere quella che Dio gli ha affidato, quella di parlare al popolo in nome di Dio. Non scappa perché ha fiducia in Dio, si è messo nelle mani di Dio. Geremia è un profeta, quindi è un uomo di fede che si appoggia su Dio e chiede a Dio di aiutarlo, lui è il portavoce di Dio. Ma Dio chiede a lui anche un’altra cosa quella di castigare i colpevoli che lo stanno perseguitando ripetutamente. Geremia non diventa violento, non diventa aggressivo però chiede a Dio la vendetta sui suoi nemici, Gesù non si comporta così, va oltre, chiede a Dio non di fare vendetta ma di perdonare i suoi persecutori, i suoi uccisori, sulla croce dirà “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno”. Geremia è un uomo dell’Antico Testamento che ragionava e si comportava secondo le regole dell’Antico Testamento, Gesù è del Nuovo Testamento che ha come legge suprema l’amore, la misericordia, la compassione, il perdono. Anche questa per noi è una lezione importante, anche noi qualche volta diciamo che la vendetta e il castigo lo darà Dio, se ragioniamo così siamo ancora nell’Antico Testamento per essere persone del Nuovo Testamento, persone del Vangelo, persone di Gesù Cristo dovremmo anche noi arrivare a dire con la grazia di Dio, con la forza che ci viene da Dio Padre, “perdonali perché non sanno quello che fanno”. Questo invito al perdono, alla misericordia credo che è importante in questa conclusione della Quaresima, andiamo alla Pasqua con sentimenti di pace, di bontà, di perdono perché abbiamo bisogno di perdono. Quando noi pensiamo al perdono, pensiamo al perdono che dobbiamo dare agli altri, certo, ma pensiamo anche al perdono che dobbiamo ricevere, quando parliamo di peccatori pensiamo che siano gli altri, peccatori siamo anche noi, abbiamo bisogno del perdono di Dio anche noi, abbiamo bisogno del perdono del nostro prossimo, forse perché non abbiamo amato abbastanza, non abbiamo sostenuto abbastanza. Tutti abbiamo le nostre croci, e abbiamo inostri amici e i nostri nemici, quindi andare verso la Pasqua con gli stessi sentimenti di Gesù, che non sono sentimenti spontanei, dobbiamo fare un atto di volontà, dobbiamo decidere di essere misericordiosi, di perdonare perché non ci viene naturale. Anche Don Umberto che oggi ricordiamo nel centenario della sua ordinazione sacerdotale ha avuto chi non lo ha capito, chi l’ha fatto soffrire, chi gli ha creato ostacoli e difficoltà. In questi giorni sono andato a rivedere la positio sulla vita e sulle virtù di Don Umberto che è stato preparato, questo volume, proprio per la causa di beatificazione e veramente ci sono testimonianze impressionanti. Don Umberto è stato 48 anni in questo Santuario della Madonna del Divino Amore dove ha avuto tante soddisfazioni, tanti successi ma ha avuto anche tante tribolazioni. Questi 48 anni passati da Don Umberto in questa zona, in questo territorio nella Diocesi di Roma, non sono stati una vacanza, quando nel 1930 cominciò ad interessarsi di questi luoghi, il Santuario era in una fase di evidente decadenza. Don Umberto con l’ardore del suo temperamento, con lo spirito di iniziativa che aveva, si dedicò anima e corpo a trasformare un Santuario che era spento, in una centrale dello spirito, piena di vitalità e di iniziative che sono andate molto oltre la città di Roma. Se dovessimo fare un elenco delle fatiche, dei sacrifici, delle difficoltà, degli insuccessi, delle calunnie che ha subito Don Umberto ,dovremmo stare qui molto a lungo, però anche in questo Don Umberto è stato un’immagine di Cristo che ha detto: “Il discepolo non è più grande del Maestro, hanno fatto soffrire me, faranno soffrire anche voi”, sarà proprio questa sofferenza, questa croce che vi renderà meritevoli di premio e gloriosi davanti a Dio e al suo popolo e quindi dirò solo che Don Umberto ha affrontato e ha portato le sue croci confidando nell’aiuto di Dio e nella intercessione della Madonna, non si è mai arreso alle difficoltà perché ha capito che il sacerdote deve seguire le orme di Cristo e che come Cristo deve stare nel mondo per servire e per dare la vita. E dare la vita, dà soddisfazione, come una mamma che genera un figlio, c’è soddisfazione ma c’è anche dolore c’è anche sofferenza e Don Umberto è stato veramente la mamma di questa realtà che vediamo qui attorno a noi che ha generato con grande soddisfazione ma che ha generato con tanto sacrificio con tanta sofferenza. Però era un sacerdote fedele molto in comunione con il Signore, molto unito a Dio, e aveva una grande fiducia nella preghiera, aveva un’immensa, infinita fiducia nell’intercessione di Maria. Don Umberto è riuscito a svolgere bene la sua missione e a vivere bene il suo Sacerdozio perché si nutriva quotidianamente dell’Eucaristia. Per noi sacerdoti l’Eucaristia è la nostra gloria e anche la nostra forza, se dobbiamo diventare il pane del popolo, se dobbiamo nutrire il nostro corpo di fede, di carità, di speranza di amore fraterno come facciamo se non ci riempiamo noi stessi di questo amore, di questa carità di questa fede? E il nostro nutrimento quotidiano è soprattutto l’Eucaristia. Don Umberto ha avuto una profonda devozione eucaristica, attingeva da Gesù la forza per compiere la sua missione e questo vale per noi Sacerdoti e vale per anche per i laici, se non attingiamo la nostra forza da Cristo, direttamente ricevendo il suo corpo il suo sangue unendoci alla sua anima, alla sua divinità la nostra missione non farà molta strada e non produrrà molti frutti. L’Eucaristia e la Madonna, sono queste le due colonne che hanno sostenuto il sacerdozio di Don Umberto.
Il ricordo continuo alla Madonna, veramente l’ha sentita presente, è stata la sua collaboratrice più immediata e la Madonna l’ha sostenuto, aiutato, consolato, perché vedeva che Don Umberto ci metteva tutta l’anima nel servizio della Chiesa e delle anime e non solo lui amò l’Eucaristia e la Madonna ma ha fatto amare l’Eucaristia, ha fatto amare la Madonna e credo che questa sia l’eredità più importante che Don Umberto ci lascia.”